L'Episcopio (da Ovest)
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... "a lu cumende"

Da "il Seminario" n. 1/2017

L’avvento dello sviluppo economico degli ultimi 50 anni ci ha dato molti servizi e opportunità, ma ha anche “sepolto” una serie di tradizioni legate alla vecchia vita ...

"Lu cumende" di Sant'Andrea di Conza

... quotidiana, sconosciute a noi giovani e rimaste solo nel ricordo degli anziani del paese.

Alcune di queste tradizioni erano legate anche al modo di lavare gli indumenti: quando le lavatrici ancora non erano arrivate da queste parti, il lavatoio del paese, “Lu Cumendo”, era importante quanto la piazza principale. Ad ogni ora del giorno vi si trovava sempre qualcuna intenta a pulire i propri indumenti. Anche il sapone era diverso: prima si usava uno ricavato dal grasso di maiale.

A parte la vita di tutti i giorni, era tuttavia nelle occasioni speciali che venivano sempre rispettate le tradizioni, in particolar modo in occasione di un matrimonio. Era usanza andare a casa della sposa e contare tutte le lenzuola, i servizi da tavola, gli strofinacci, gli asciugamani, le camicie da notte, le coperte e tutto ciò che faceva parte del corredo, messo pazientemente da parte dai genitori, per poi lavarlo sempre a “Lu Cumendo”.

"Lu cumende" di Sant'Andrea di Conza negli anni '50 - '60 (pubblicata su FB da Luigi Cignarella)

Caratteristico era quindi vedere tutte le lavandaie che trasportavano il corredo, in conche portate sul capo, in una casa dove eseguivano “la rëssiä”. In alcune caldaie si bolliva l’acqua con della cenere della legna e si ponevano i panni in alcuni tinelli di legno coperti da un vecchio lenzuolo, quindi si versava l’acqua bollita nei tinelli per ammorbidire il tutto. Il giorno dopo, si portava il corredo al lavatoio per sciacquarlo accuratamente e stenderlo sulle corde sistemate al di fuori della struttura. Durante questi due giorni, le lavandaie consumavano all’aperto il pranzo preparato e trasportato nei canestri dalla mamma della sposa. Il terzo giorno, le lavandaie riportavano tutto il corredo lavato a casa della sposa, che i genitori controllavano attentamente, per poi consegnarlo alle donne addette alla stiratura. Così, dopo tre giorni di lavoro, si brindava tutti insieme e la madre della sposa ringraziava e pagava le lavandaie.

Si ringrazia Gerardina Piccininno per le preziose informazioni.

Gianluigi Cignarella


A questo bellissimo articolo riteniamo utile aggiungere alcuna altre considerazioni.


Innanzitutto riteniamo doveroso sottolineare quanto fosse faticoso e pernicioso il lavoro delle lavandaie con conseguenze deleterie per la salute specialmente di quelle donne che lo facevano per mestiere.

È bene aggiungere anche che, a parte quelle benestanti che si servivano appunto delle lavandaie, un po' tutte le donne andavano "a lu cumende" per lavare i panni di casa.

Il trasporto dei "panni", ben pesanti quando lavati e ancora bagnati, si faceva con una "conca" di rame collocata in testa su una "spara" costituita da una tovaglia avvolta a salsicciotto e poi disposta ad anello.

Il corredo delle spose, dopo la citata stiratura fatta a mestiere da altre donne "specializzate", veniva "esposto" per mostrare a tutti il "tesoro" che esse avrebbero portato in dote allo sposo. Tale "esposizione" tendeva, in verità, oltre che compiacere la famiglia dello sposo anche a suscitare la meraviglia, se non l'invidia, della gente specialmente per quanto riguardava i ricami che arricchivano "li panni", frutto dell'impegno profuso dalla stessa sposa durante la sua giovinezza e magari di altre ricamatrici.

Insomma ... un altro mondo.

P. S. - In verità oggi c'è ancora qualche donna che va "a lu cumende a lavà li panne" perché indubbiamente ottiene risultati eccellenti e di maggiore soddisfazione. Ma si può dire che veramente si tratta solo di qualche "mosca bianca".


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(Rosario Cignarella)
Prima pubblicazione: 19 febbraio 1999

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