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Incontri filosofici nell'ambito dell'Estate Ricreativa e Culturale 2017

Da "il Seminario" n. 3/2017

È consuetudine della Società Filosofica Italiana organizzare seminari, incontri o scuole estive su argomenti e temi di forte valenza filosofica, allo scopo di ...

Giovani partecipanti al Seminario Filosofico

... divulgare e approfondire l’uso sociale della riflessione filosofica, evitando la forma erudita e distaccata dal senso comune,venendo così incontro alle domande che sorgono da una società in profonda trasformazione sociale, mentale, morale e comunicativa.

Con questa finalità e con il patrocinio del Comune, nell’ambito del programma dell’Estate ricreativa-culturale (8 , 10 e 13 agosto 2017), nello spazio dell’auditorium della ex Fornace di Sant’Andrea di Conza, si sono tenuti gli incontri dei Pomeriggi filosofici 2017. Hanno aderito al seminario: Alina Benedetto, Atina Kotsana, Ekhator Wisdon, Francesco Iannicelli, Giulia Garro, Giuseppe Andreone, Luca Maraucci, Ludovica Lotano, Maria Antonietta Santorsola, Maria Laura Amendola, Michele Ambrogio Lanza, Michele Iannicelli, Rosa Di Roma, Bellino Giuseppe Andrea, Alessio D’Angola, Giorgio Angela, Donato Garro, Rossana Tobia e diversi altri cittadini. Gli incontri della Società Filosofica Italiana si sono svolti prendendo spunto da testi e video introduttivi alle riflessioni di filosofia morale, di etica e politica proposte dal prof. Donato Maraffino, docente di storia e filosofia e saggista.

Il coordinamento organizzativo è stato affidato a Antonia Maraffino e Donatella Iannicelli. Durante gli incontri si sono svolti dialoghi, prodotte riflessioni e osservazioni rilevanti, a dimostrazione che le persone e i giovani hanno sete di luoghi di ricerca, di scambio di idee e sensibilità.

Il silenzio di Abramoin Søren Kierkegaard

Analizzando alcuni passi dell’opera del 1843 Timore e Tremore di Søren Kierkegaard, nel primo incontro, si è dibattuta la tesi dell’autore circa la scelta della fede, nello scenario della società moderna e, facendo riferimento ai passi biblici, ci si è soffermati sulla condizione di paradossalità della scelta del padre della fede, Abramo, che in silenzio, sale sul monte Moria, sospende i dettati della moralità umana, per eseguire il comando divino di sacrificare Isacco, suo figlio prediletto e speranza della sua vecchiaia.

La scelta di Abramo allude alle scelte esistenziali, in cui si mette in gioco tutto se stessi, la propria vita, la propria soggettività, oltre l’esteriorità o l’adeguarsi all’impersonale soggettività che nella filosofia hegeliana era solo funzionale all’intero e al sistema. Rileggendo alcuni passi di Timore e Tremore, è evidente che Søren Kierkegaard non vuole sostituire alla totalità hegeliana una nuova totalità (quella della fede religiosa), ma invitare a gettare uno sguardo in quegli interstizi esistenziali dove la fede deve abbandonare il senso comune, le regole asettiche e impersonali e rivolgersi a Dio, con fiduciosa mente e cuore tremante.

Così la scelta del credere non può consistere nel chiudersi nell’orizzonte etico della società di cui si fa parte, ma accettare un paradosso esistenziale che renda possibile un ritorno alla vita ordinaria più profondo, ricco e capace di vivere la condizione umana con una nuova speranza. I partecipanti hanno discusso con forte capacità analitica le categorie filosofiche presentate, avanzando una serie di interrogativi che si aprono con questa tesi, in primo luogo sui rapporti tra fede e l’autonomia della moralità, sulla loro possibile conflittualità o il significato che bisogna attribuire all’ascensione di Abramo verso il luogo dell’Olocausto, sul carattere del volto del Dio di Abramo e le terribili domande sulla presenza del male ontologico e degli olocausti nel ‘900.

Noi e la singolarità plurale nella riflessione di Jean Luc Nancy e Tzvetan Todorov

Il secondo incontro, stimolato dal video documentario-intervista e dal testo di Tzvetan Todorov sulla conquista delle Americhe, è stato incentrato sulle dinamiche di inclusione-esclusione, che si realizzano nell’incontro delle diversità non previste nel panorama mentale dei singoli gruppi umani, come emerge nella storia drammatica dello scontro (o mancato incontro) tra i conquistadores e gli aztechi.

Il confronto si è concentrato sulle categorie del Noi e del Soggetto sia nell’analisi antropologica (Tzvetan Todorov) che filosofica (Jean Luc Nancy). Cosa intendiamo dire affermandoci un Noi? E dicendo Soggetto-Singolo? Nazione, Etnia, Comunità: cosa sono? Realtà storiche o costrutti ideologici, o essenzialità mentali utili al dominio? E poi: dicendo soggetto-singolo, affermiamo una identità o una astrazione, isolata dalla realtà umana in cui invece il singolo è sempre un tessuto plurale?

Nella spiegazione di Tzvetan Todorov, l’uomo occidentale prima di affermarsi economicamente e militarmente sulle popolazioni amerinde, vince simbolicamente, attraverso l’imposizione di segni e simboli, che hanno destrutturato l’universo mentale degli Aztechi, il loro ordine culturale e religioso, come gli stessi Aztechi d’altronde avevano fatto con i Toltechi.

Insomma perché un Noi autoritario si imponga, questo deve comprendere i linguaggi e i segni degli Altri, ma con lo scopo di conquistare e sostituire ad essi nuovi universi simbolici. E così avvenne. Ma era (ed oggi è) possibile un’altra soluzione? Le riflessioni diverse di Las Casas, alla ricerca di una strada non violenta dell’evangelizzazione, non ebbero la meglio sulla soluzione di Cortes. E le stesse considerazioni negative sull’uomo civile occidentale, contenute nei Saggi di Montaigne, in fondo non riuscivano a penetrare nell’universo simbolico dei “selvaggi”, tanto che alla fine si dovette assistere inermi alla violenza della conquista spagnola.

Ma se disegnare un Noi rischia sempre un dominio, un perimetrare escludendo, per Nancy la soluzione allora è una ricostruzione della categoria dell’umano che riconosca ontologicamente il soggetto come fascio plurale, in cui a rigore non esiste la singolarità se non come luogo dinamico di apertura continua e inclusiva. “L’essere è singolarmente plurale e pluralmente singolare” o detto altrimenti “L’essenza dell’essere è soltanto una co-essenza”: per Nancy solo questa soluzione ci può permettere di lasciare definitivamente al suo destino il soggetto cartesiano.

L’attenzione dei presenti nel secondo incontro si è incentrata quindi proprio su tali soluzioni e sulla problematicità della categoria ontologica del Singolo di Nancy. Infatti, la diversità non è forse anche un tessuto intimo, psicologico e sentimentale di ognuno? E poi in fondo non si rischia una nuova astrazione quando i confini del noi spariscono?

Il seme della libertà in Etienne De La Boétie

L’ultimo incontro ha tentato di rispondere alle domande: “Può la servitù essere volontaria?” “E se sì, come si determina ?”. L’incontro ha preso spunto dalla fortuna del Discorso sulla Servitù volontaria di Etienne De La Boétie: pamphlet amato, odiato e variamente interpretato a seconda delle stagioni civili e politiche, già pochi anni dopo la sua pubblicazione verso la metà del XVI secolo, nella Francia attraversata dall’inizio delle guerre di religione.

Eppure la sua domanda iniziale era la seguente “(...) dunque se ogni essere che ha sentimento della propria esistenza vive l’infelicità della soggezione e corre dietro la libertà, se gli animali, che pur sono fatti per servire l’uomo, non riescono ad abituarsi senza manifestare allo stesso tempo un istinto contrario, quale oscuro male ha potuto snaturare a tal punto l’uomo, l’unico ad essere nato propriamente per vivere libero, da fargli perdere la memoria del suo primo stato e il desiderio di riacquistarlo?

Così dal testo sgorgano in modo sfavillante le annotazioni sui vizi umani, sulla disponibilità all’autoinganno, alla finzione, alle consuetudini, all’indolenza, all’assuefazione, alla creduloneria, all’ambizione, alla cortigianeria, in una sorta di disegno fenomenologico della mentalità servile, che, ed è qui la straordinaria sua attualità, creano un solido humus, non tanto nell’istituzione di nuovi Poteri, ma nella loro trasformazione tirannica.

Così Etienne De La Boétie crea un pensiero controcorrente rispetto alla spiegazione e giustificazione contrattualistica e giuridica della nascita del potere assoluto del suo tempo, delineando una sorta di fondazione sentimentale delle derive tiranniche e assolutistiche della società con la parallela crisi dei corpi intermedi che per lunghi secoli erano la base dell’equilibrio potere centrale-autonomie comunali e territoriali. Prendendo spunto dal testo le osservazioni dei presenti si sono incentrate sugli enigmi della democrazia e della formazione del consenso.

Infatti, oggi il lettore potrebbe indulgere nell’abitudine di ridurre il consenso democratico a quantità delle adesioni alle maggioranze o peggio ai rapporti di forza, dimenticando che i totalitarismi (o le tirannie novecentesche) hanno lasciato in eredità, oltre che i dolori e la tristezza dei genocidi, anche le mele avvelenate della comunicazione persuasiva e occulta, del controllo della pubblicità o la gestione politica del simbolismo del profondo, influendo la creazione del consenso, ostacolando, nella coscienza delle persone o dei cittadini, la maturazione del senso della responsabilità morale, che al fondo è la virtù e il sentimento centrale della democrazia.

Ma non basta. Nel confronto, in particolare, ci si è soffermati sull’odierna deriva a-personale dei poteri, sulla loro pervasività, in primo luogo di quelli tecnologici o mass-mediatici e specialmente nel controllo e uso delle informazioni degli individui. In fondo, la servitù oggi, quale atteggiamento morale, può divenire, per dirla con Kant, una nuova minorità, frutto dello stesso sviluppo iperbolico delle libertà, tra cui quella di ricerca scientifica e di creazione di nuove tecnologie che possono determinare una nuova asimmetria quella tra la profonda tecnicizzazione della vita individuale e sociale e la incapacità di autonomia degli individui.

(M.D.)