L'Episcopio (da Ovest)
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di Arcangelo Bellino

Premettiamo all'articolo già ripubblicato alcuni giorni fa il commento del Preside G. Vespucci e la mia replica perché essenziali per comprenderne l'importanza e l'attualità del contenuto.

Caro Rosario, ho molto meditato circa l'opportunità di rispondere, perché, in questo ...

Un dipinto (a olio, di Angelo Metallo?) nell'Episcopio di Sant'Andrea di Conza

... strano paese, si rischia di apparire "passatisti", laudatores temporis acti e nostalgici.

Tuttavia, l'argomento è di quelli che avrebbero dovuto avere maggiore attenzione da parte di tutti: da me, sicuramente, passando, però, per tutte le amministrazioni successive al 1990 [l'articolo riproposto è del 1989], arrivando alla presente, di cui mi scuso, come l'Aretin poeta tosco, dicendo "non lo conosco"!

Nel merito, l'argomento è di quelli che potrebbero ancora ridare un ruolo al nostro ormai moribondo paese che deve decidere se assicurare una vitalità tutto l'anno, oppure svegliarsi con ritmo stagionale, in una fase, però, in cui non ci sono più "le stagioni di una volta".

Debbo rilevare, ahimé, che l'articolo non va al di là della critica e che non ci sono proposte alternative: nei cinque anni successivi, infatti, ci furono ancora più omissioni [la Torre Cardone?!]! Forse, caro Rosario, necessitiamo di un dibattito pubblico in merito ... questo sito potrebbe organizzare come "giornale on line" una discussione pubblica.

Nello scritto del dott. Arcangelo, appare evidente lo spirito "polemico" che lo animava. Tuttavia, esso andrebbe contestualizzato negli anni che lo hanno prodotto: il quinquennio 1985-90 che ebbe tantissime luci sul piano amministrativo [in realtà, fu realizzato il 70% della ricostruzione privata e l'80% di quella pubblica: nel 1988 fu "accesa la fiaccola" del metano, primo paese in assoluto della provincia di Avellino!!!] e diverse ombre sul piano politico - amministrativo, che le elezioni si incaricarono di punire, come i fatti storici stanno lì a testimoniare, indifferenti di tutte le interpretazioni di comodo. Si tratterebbe di capire - almeno ora - cosa determinò gli errori che il dottore lascia intendere.

Gerardo Vespucci


Caro Gerardo,

sono perfettamente d'accordo con te, l'articolo deve essere contestualizzato.

Con la sua ripubblicazione non intendevo certo rinfocolare vecchie polemiche, che hanno fatto il loro tempo, ma, riconoscendo che un po' tutti abbiamo collezionato errori più o meno gravi, soprattutto evidenziare la necessità di non ripeterli. Già, perché di questo si tratta: nel gestire la cosa pubblica non è cambiato niente. Si procede allo stesso modo e si rinnovano gli stessi errori. Quando poi si tratta di iniziative che riguardano beni pubblici di valore storico - architettonico il fatto che si proceda d'imperio senza riflettere adeguatamente sembra davvero insopportabile.

Probabilmente si dovrebbe parlare non più di "cultura" ma di "ignoranza".

Circa la possibilità di favorire la discussione mediante questo sito devo ammettere che tutti i tentativi di stimolarla, inserirendo ogni tanto argomenti e documenti interessanti, non funziona, vengono regorarmente ignorati. Ciò che è più grave è che vengono ignorati anche da coloro che dovrebbero essere protagonisti e che dovrebbero addirittura proporli. Ormai sono tutti su Facebluff e, come lamentano anche specialisti dell'informazione, ci si informa solo con gli spot. Pazienza, io proseguo per la mia strada.

R. C.


Sebbene non ebbe la meritata attenzione neppure quando fu pubblicato su "il crogiolo", n. speciale, ago. 1989 e potrebbe essre ritenuto superfluo ancora di più in questi tempi caratterizzati da assoluta assenza di riflessione e di discussione, vogliamo riproporre questo articolo perché lo riteniamo comunque illuminante nella sua valenza culturale e soprattutto perché può servire a far riflettere chi, come al solito con superficialità, mette mano a valori e beni che dovrebbero essere intangibili ma, a quanto pare, sembrano destinati alla definitiva distruzione.

« Vi è in questa terra (... di Sant'Andrea) il palazzo arcivescovile con un bellissimo giardino pieno di frutti piantati al tempo di mons. Campana(1), il quale restaurò il palazzo, mentre vi abitò buona parte della sua vita, ed il quarto superiore alle grade l'anno passato fu rifatto con la spesa di ducati ... dall'odierno ill.mo mons. Caracciolo(2)».

Queste brevi annotazioni sono riportate dal Vicaro Donatantonio Castellano nella "Cronista Conzana" (a pag. 472 del manoscritto inedito della fine del '600), a proposito del giardino dell'Episcopio.

Agli inizi del '700, il giardino pensile, che offriva un suggestivo belvedere sul paese e parte della vallata, fu risistemato ed arricchito con una monumentale fontana a cascata, in pietra locale, sapientemente lavorata dai maestri artigiani di S. Andrea. L'acqua vi giungeva dalla "fonte" ed era convogliata nella "canala" esistente in Via Diramazione Sambuco dove alimentava un mulino.

Di recente sono stati portati a termine i lavori nel giardino del palazzo arcivescovile con la realizzazione di un teatro all'aperto (sic!), mentre è in corso il restauro della fontana. Il risultato discutibilissimo di tale intervento, a coronamento di una serie iniziative a dir poco contraddittorie, ci offre lo spunto per alcune brevi considerazione di carattere certamente più generale.

L'Episcopio di Sant'Andrea di Conza dopo il terremoto del 23 novembre 1980

In questi ultimi tempi sembra che il problema del centro storico (in particolare dell'Episcopio e dell'uso pubblico del giardino) sia prepotentemente al centro dell'attenzione da parte degli amministratori. Numerosi messaggi in questo senso ci vengono forniti dalla pubblicazione di opuscoli, dalla proiezione di filmati, dalle frequenti discussioni che si animano nelle strade del paese, e dalle polemiche rinfocolate anche nell'ambito di settori proverbialmente vicini all'amministrazione attuale. In tutta franchezza, ci sembra che la questione, per come è impostata, sia la premessa per una situazione dai risvolti pericolosi, per una serie di motivi.

Il primo, fin troppo evidente, è che dirottando l'attenzione dell'opinione pubblica esclusivamente su queste vicende, si finisce per mascherare la latitanza nel dare risposte concrete alle domande del paese e che il dopo terremoto sta rendendo sempre più incalzanti.

I problemi irrisolti del P. I. P., della disoccupazione giovanile, l'asfissia del settore artigianale tradizionale, la confusa canalizzazione delle risorse e delle iniziative autonome locali, il progressivo isolamento dal contesto economico zonale, introducono forti elementi di instabilità socioculturale e concorrono alla sistematica destrutturazione anche del substrato etnico.

Inoltre l'eccessiva e apparente tensione che si polarizza intorno alle tematiche così come è inteso, senza sufficiente documentazione e ricerca, genera delle immotivate aspettative, delle false urgenze e, di conseguenza, delle soluzioni frettolose. Parte dell'opinione pubblica, il più delle volte poco informata, si mostra distratta e superficiale rispetto all'approfondimento storico ed alla rivalutazione ambientale, mentre paradossalmente è attenta verso le novità anche se palesemente di basso profilo.

Si innesca in tal modo un meccanismo vizioso per cui l'importante è che si faccia qualcosa, indipendentemente dall'utilità, dalla qualità del prodotto, dalla tipologia dell'ambiente in cui si va ad inserire.

L'Episcopio di Sant'Andrea di Conza e il suo giardino dopo il terremoto del 23 novembre 1980

Questo, appunto, è accaduto per il giardino dell'Episcopio, che i recenti lavori hanno stravolto nell'immagine e nel significato, tanto da suggerirci provocatoriamente che abbia nuociuto più l'intervento di quanto non abbia fatto l'abbandono in cui lo stesso giardino versava da anni. Ora il reinserimento della cascata diviene davvero arduo, come qualcuno ha giustamente rilevato.

Certamente l'identità di una comunità si salvaguarda e si caratterizza anche attraverso un processo di recupero e di valorizzazione degli elementi strutturali che ne testimoniano la continuità storica; ciò è maggiormente valido in un paese con forti tradizioni artigianali.

Bisogna sottolineare che, dopo il terremoto, la ricostruzione privata nel centro storico, così com'è avvenuta, e come procede a S. Andrea, pone seri problemi circa il recupero funzionale, la rivitalizzazione e pesanti interrogativi sul futuro. Pertanto dietro ogni intuizione e ogni iniziativa operativa è fondamentale che vi sia una elaborazione culturale rigorosa e lungimirante.

È questo il punto nodale da valutare. Un tentativo di analisi, che pure vuole essere un semplice contributo, senza pretese, al confronto ci riporta indietro di alcuni anni.

La crisi della civiltà contadino-artigianale, covata a lungo nel dopoguerra, ma esplosa nel nostro paese intorno alla fine degli anni sessanta, le nuove realtà emergenti, la crescita del ceto medio, la società del consumo che avanza a passi da gigante, hanno impresso un'accelerazione ai processi sociali, modificando i rapporti tra l'ambiente e la politica.

Noi crediamo che sia compito della politica, libera da inutili nostalgie, assecondare il segno del progresso, ricercare convenienti sbocchi alle esigenze di sviluppo e di benessere. Spesso, però, si privilegiano scelte che garantiscono un ritorno elettorale immediato e possono, pertanto, mettere in moto fenomeni deleteri.

Anche nel nostro paese si è incrinata progressivamente la fiducia nelle istituzioni e nella politica delle idee, si è accreditata la tendenza a rincorrere l'utile concreto e la tutela degli interessi particolari, l'equazione vincente potere-consenso.

La speculazione edilizia modificava, negli anni, l'assetto del paese; la volontà delle amministrazioni faceva passare come operazioni progressiste, indispensabili e culturali le pesanti manipolazioni sull'impianto urbanistico. Ad esempio, antiche strade in pietra locale, venivano smantellate e ricostruite in cubetti di porfido o vesuviani. Il tessuto etnico-storico-ambientale diveniva sempre più vulnerabile, mentre sempre più tangibile si rivelava l'espropriazione dei valori della cultura originaria, da parte di modelli culturali importati.

La fontana monumentale dell'Episcopio di Sant'Andrea di Conza

In questo contesto si inscrive l'intuizione di legare le sorti del recupero dell'Episcopio alle "Estati ricreative e culturali", alle iniziative più volte definite "ad alto livello", tese alla laicizzazione della cultura, quasi dovesse essere una "catarsi", una presa di coscienza della popolazione, rispetto all'egemonia della cultura religiosa. Questo discorso in linea con gli orientamenti generali della sinistra in quegli anni, se approfondito, ci porterebbe troppo lontano; ci limitiamo, pertanto, a dire che, pur contenendo elementi di validità, finiva per essere troppo strumentale per alcuni aspetti e troppo riduttivo per altri.

Un merito sicuro va riconosciuto alle amministrazioni dell'epoca, quello di aver sottratto lo stabile all'abbandono o chissà a quale altro destino ...

Il presunto "alto livello", invece, è rimasto "nano", sia nei contenuti che nelle strutture, fin dal momento della costruzione del primo teatro a cavea, e si è via via ridimensionato nei fatti, fino ai giorni nostri, nel teatro "con panchine e colata di cemento" e nel nuovo teatro all'aperto "con percorsi pedonali in mattoni e pietra" (non di S. Andrea!)

Le pretese invece sono lievitate al punto che oggi si parla di cittadella culturale, dell'arte e dello spettacolo, in Alta Irpinia, mentre si dimentica che il paese è privo di scuola superiore e che il Liceo si è estinto senza che alcuno quasi se ne accorgesse. Non occorre puntare il dito ad ogni costo contro le manifestazioni culturali estive, che, sia pure non completamente assimilate e sedimentate nel tessuto sociale di S. Andrea, sono comunque filtrate nelle abitudini dei santandreani, specie di quelli non residenti che tornano per le vacanze, e costituiscono un punto di riferimento anche per i paesi limitrofi.

Non va condivisa, a nostro avviso, la pratica inveterata di far ricorso alla cultura quale paravento nelle situazioni di stanca politica, e quale vestito per tutte le stagioni, mentre le tradizioni e la memoria storica si assottigliano e le opportunità di impegno vero si frantumano.

Arcangelo Bellino


(1) Arcivescovo di Conza dal 1651 al 1667 [NdR].

(2) Gaetano Caracciolo fu arcivescovo di Conza dal 1682 al 1709 [NdR].


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(Rosario Cignarella)
Prima pubblicazione: 19 febbraio 1999

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