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Da "il Seminario" n. 3/2019

Una realtà dimenticata

Chiara Russoniello

Il nostro paese, come tutti i paesini del Meridione, si reggeva su un’economia agricola. La figura predominante era quindi il “contadino”. Occorre però fare una precisazione. Vi era il contadino “benestante”, colui che possedeva terre ed animali e che offriva lavoro ad altri; poi c’era il ...

Una volta ... in campagna

... contadino “non-possidente” che lavorava a giornate presso altri. La vita per entrambi era molto dura, ci si alzava molto presto al mattino (in genere verso le 4/5) per poi tornare tardi al paese.

Non esistevano feste o giorni di riposo, insomma la vita di tutta la famiglia girava intorno alla terra e agli animali per 365 giorni. Durante l’inverno, quando non si poteva andare nei campi, il contadino seduto di fronte al suo focolare, si occupava di aggiustare gli attrezzi da lavoro, costruire nuove scope per rassettare la casa, riparare il tetto di una stalla o di un pollaio, ripristinare una recinzione ecc., in modo tale che per la primavera fosse tutto pronto. Le donne, invece, si occupavano di rammendare gli abiti dei loro mariti o dei loro figli, lucidavano “la rame” che avevano in casa e andavano al lavatoio, dunque si occupavano delle faccende domestiche e dei figli.

Na murenne de sustanze

Con la primavera tutto ricominciava. Gli uomini andavano nei campi a seminare il mais che avrebbero venduto, il grano e altro foraggio, mentre le donne si occupavano di preparare l’orto piantando ogni tipo di ortaggio.

Nel periodo tra maggio e luglio ci si preparava per la “mietitura” e nella piazza di Sant’Andrea si radunavano moltissime persone, donne e uomini, per chiedere di poter lavorare. Il proprietario terriero sceglieva tra questi la manovalanza che gli serviva e pattuiva con loro l’orario e la paga, i contadini prescelti erano felici perché oltre alla paga avrebbero ricevuto il pranzo. Il giorno della mietitura era una gran festa per grandi e piccini. Ci si alzava molto presto e tutto il lavoro della falciatura veniva fatta a mano con “lu faucion” dagli uomini, le donne invece si occupavano del pranzo e in quest’occasione preparavano 4 pasti: la colazione alle 9 (pane e formaggio), il pranzo alle 13 (li cannazz), la merenda alle 16 (frittata e peperoni) e la cena con ogni ben di Dio; anche i bambini collaboravano portando continuamente acqua fresca per far bere i poveri lavoranti. La giornata terminava con il raduno di tutti seduti ad una grande tavolata, dove si discuteva del raccolto e s’intonavano stornelli paesani accompagnati dal buon vino.

Una sgroppata non guasta

Dopo la mietitura seguiva la “trebbiatura”, fase in cui si facevano staccare i chicchi dalla spiga; questa poteva essere fatta in 2 modi: per chi possedeva i buoi era più semplice perché bastava legare dietro agli animali un masso di pietra di tufo con delle scanalature e far continuamente girare i buoi sull’aia (area con terra battuta così da non far interrare i chicchi), altro sistema adottato da chi invece non possedeva animali era di stendere le spighe sull’aia, battendole con attrezzi in modo da staccare i chicchi. In entrambi i casi, le donne raccoglievano la paglia e la conservavano nei pagliai per poi farne cibo per gli animali, mentre i chicchi di grano venivano raccolti, stesi su teloni e lasciati ad asciugare per qualche giorno e portati nei granai. Terminata la trebbiatura si procedeva all’aratura, alla semina e alla vendemmia. I prodotti coltivati nel nostro paese erano principalmente: grano, mais, foraggio per il bestiame, ortaggi e legumi. La coltivazione dei campi seguiva un sistema di “rotazione”, ossia il campo non veniva seminato sempre con lo stesso cereale, ma si alternava in modo che il terreno potesse riposare e rigenerarsi di sali minerali.

In conclusione, posso dire di aver appreso che la vita del contadino era veramente molto faticosa, ma anche ricca di rapporti umani. Infatti, nel suo tempo libero, egli amava frequentare la “cantina” o la” piazza”, dove ci si incontrava e ci si raccontava. Diversamente da noi, ieri i contadini avevano più tempo per gli altri nonostante la fatica dei campi e a loro modo erano più felici e soddisfatti.

Chiara Russoniello