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Il ritorno

Continuazione ...”

Domenico suonava e cantava sul ciglio della strada sempre più nervoso. Quante strade! E proprio su questa dovevamo finire?

Eravamo partiti da Monaco nella tarda mattinata e da due ore e più aspettavamo fuori Rosenheim che qualcuno ci ...

Domenico Cicenia

... prendesse a bordo. L’autostrada si biforcava: verso Salisburgo e l’Austria; verso il Brennero e l’Italia. Roba da non credersi, le auto andavano tutte in Austria, eppure a Salisburgo ancora non era cominciato il festival mozartiano e i concerti di musica classica erano di là da venire.

I rari viaggiatori che passavano veloci diretti verso Innsbruck e il Brennero manco lo guardavano l’autostoppista con la mano destra protesa a chiedere il passaggio e la sinistra con la chitarra penzoloni.

Domenico, sconsolato riprendeva a suonare e in cuor suo malediceva gli austriaci. Per offenderci, da ragazzini dicevamo “si n’austriac”, a ricordo forse delle sofferenze subite dai nostri nonni tra quelle montagne piene di neve e di crucchi. “Fernando! sti austriaci non si fermano, qui facciamo notte!”.

“Domenico! Suona, chissà che la chitarra non fa il miracolo”.

E miracolo fu!

Una piccola Polo blu, pulitissima! elegantissima! spaziosissima? si fermò nella piazzola, ne discese un uomo distinto, austero, ci salutò gentilmente e cominciò a passeggiare nella piazzola. Si era fermato per sgranchirsi un po’, senza manco immaginare quello che lo aspettava. Domenico non lo mollò più, anche perché capì immediatamente con chi aveva a che fare. Era un prete, elegantemente vestito in clergyman, evidentemente mandato dalla provvidenza in nostro soccorso: almeno così pensava Domenico. Ma il prete, con tutta la buona volontà insita nella professione e la predisposizione ad aiutare i bisognosi … di un passaggio, la pensava diversamente, e non senza ragione: la Polo era carica di bagagli. Prevalse il pensiero matematico geometrico: potevamo entrare in macchina. Ed entrammo, salimmo a bordo, non senza che Domenico avesse, tra le altre cose, prospettato al religioso le fiamme dell’inferno se ci avesse abbandonati sulla piazzola. Ci scaricò, sicuramente con sollievo, a Innsbruck, con la scusa, credo, di avere degli impegni in città. Non lo rimpiangemmo per molto. Manco un quarto d’ora ed eravamo a bordo di una magnifica, spaziosa, accogliente Fiat 131. L’autista si era fermato non appena Domenico aveva fatto segno con la mano.

Era italiano! Viva l’Italia! Trentino di Trento e si chiamava Trentini, e da “discendente” di Cesare Battisti non amava i crucchi. Valicammo il Brennero in tutta allegria e, ormai sera, ci fermammo alla stessa stazione di servizio dell’andata, chiaramente sulla carreggiata discendente. Niente cessi questa volta! Nella sera tersa, le stelle sembravano scivolare a valle dalle montagne incombenti insieme al vento tiepido e profumato di resine.

Il fohn ci accarezzava e ci predisponeva al riposo notturno, all’aperto, sull’erba morbida e accogliente del prato. “Buona notte, buona notte fiorellin(o)i”, e De Gregori ci conciliò il sonno. Nella notte una volpe venne a curiosare, mi svegliai, ci guardammo negli occhi, si allontanò furtiva, sconsolata e a pancia vuota. Domenico dormiva abbracciato alla chitarra.

Il giorno dopo, a mezzogiorno arrivammo a Firenze, affamati peggio dell’animale notturno. Era o non era quasi ora di pranzo? Pranzammo alla grande nell’autogrill!

Il fiasco di buon chianti lo vedemmo e non lo vedemmo! Comunque ci conciliò la pennichella prataiola.

Ma l’autostop lo si fa da svegli. Ce ne erano di camion e di camionisti nel parcheggio, ma non sarebbero arrivati a Napoli per la sera. Eravamo indecisi sul da farsi quando ecco comparire una Fiat 128 a dir poco “vissuta”, insomma piena di sgraffiature e bottarelle varie. Sotto gli occhi curiosi nostri e di tutti i camionisti scende dalla macchina un tizio tracagnotto, aria spavalda, sicuro di se all’apparenza. - Napoletano forse? - Domenico si fionda a chiedere il passaggio. Quello, il tracagnotto, non si ferma al momento, sale alcuni scalini, e come da un palcoscenico ci fa: “guagliù, site puliti” e poi “i trase a piglià o cafè, teniteve e chiave da macchina e aspettat”. I camionisti, sganasciandosi dalle risate, applaudirono; noi, un po’ interdetti, aspettammo.

“Guagliù o cafè o sann fa sul’ a Napoli! Ma vuie site e Napoli? Si? iamuccenne!”. Mi cedette il volante e partimmo. Partimmo per un viaggio incredibile, indimenticabile; pensate che Domenico, contrariamente al suo solito, non si chiuse nei suoi pensieri matematici; addirittura abbandonò la chitarra in un angolo per ascoltare Ciro, il piccolo grande Ciro, il napoletano apprendista guappo, al momento semplice contrabbandiere di libretti di circolazione di automobili di dubbia provenienza. “Domenico! Anche questa è Europa! Se fossimo tutti tedeschi sai che palle!”. “Fernando! hai ragione”. “Guagliù, ma che dicite? Ma quale Europa? Napul’è o munn!”. E non la smise più. Per tutto il viaggio ci parlò della sua vita nel rione Secondigliano, dei suoi amici, potenti a sentire lui, dei suoi amori, delle sue spacconate: un misto di verità e di gioiose bugie; un misto di aspirazioni alla grandezza da guappo e la malcelata considerazione della propria condizione di semplice gregario. Che viaggio! I chilometri scorrevano sotto le ruote del quasi catorcio senza che ce ne rendessimo conto. Domenico sollecitava Ciro a raccontare di se, ridendo alle sue parole, ma con il rispetto della sua umanità. Dopo Roma, - eravamo già a Roma? - sulla via di casa ormai, ci mise a conoscenza dell’ultima sua verità. La sua famiglia abitava in un piccolo borgo della Foresta Nera, in Baviera.- “ ma allora sei tedesco?”- “io tedesco?, ma quando mai? Quelli sono tutti di un pezzo, senza fantasia, loro e l’ordine, la disciplina, l’amore per gli animali, la polizia.

A proposito di polizia e animali, volete sapere che è successo a mio fratello poco tempo fa? Lui fa l’autista, una notte con il pulman ha investito nu cierv” - “cosa?” - “n animale che corne” - “Ah, un cervo! E allora?” - “allora? Mio fratello è sceso, si è guardato intorno, ha caricato l’animale nel pulman e tela, via verso casa. Ma vi pare che nu curnut e tedesco nun ha fatta a spia? Dopo pochi chilometri: polizei! I poliziotti salgono nel pulman, vedono l’animale mezzo morto e minacciano frateme di arrestarlo. Frateme ch’è nu figli’ e ntrocchie subito fa:” ma o sto purtann’ o spidale”. Guagliù, ma quale spidale e spidale, amme magnate carne pe tutta a semmane, e abbiamo invitato pure alcuni amici tedeschi che hanno gradito senza sapere”.

Domenico scoppia in una risata fragorosa, io altrettanto e a stento controllo la macchina che sbanda paurosamente. Per fortuna siamo alla stazione di servizio di Teano. Qui fu quasi fatta l’Italia; in Germania Ciro e la sua famiglia hanno fatto l’Europa. “Ciro! Scendiamo, pigliamoci un caffè - caffè”. Ci accompagnò fino a Largo Avellino al Duomo e ci lasciò la sua malinconia di apprendista guappo.

Domenico, il giorno dopo, di buon mattino era già in facoltà a Mezzocannone.

Ciao Domenico, ti sei fermato, ma nei nostri pensieri viaggi e viaggerai ancora.

Settembre 2017

Fernando G. Basile