L'Episcopio (da Ovest)
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... elicottero

Questo simpatico racconto è stato tratto dal numero de "il Seminario" n. 1/2014. Si ringrazia l'autore e la redazione per averne consentito la pubblicazione tra queste pagine.

L'altra sera, anzi l'altra notte, era molto tardi in effetti, passando davanti al Monumento ai caduti ho assistito ad una scena che, a raccontarla, quanto meno potra farvi pensare che fossi sbronzo. Vi assicuro: ero sobrio, ma proprio sobrio, manco l'acqua avevo bevuta.

Sarà che il luogo è evocativo, io la scena l'ho vista. E' durata un attimo, un flash e subito è svanita, come l'alito di vento tiepido che ...

Atterraggio (immagine di repertorio)

... in certe sere di primavera viene inaspettato a riscaldare l'anima più che il corpo e immediatamente dopo si perde negli angoli freddi e bui dell'inverno trascorso e della memoria. Una scena di pochi fotogrammi, improvvisamente sfocati, come succedeva al cinema Seminario, quando sul più bello, magari mentre Amedeo Nazzari stava per baciare Yvonne Sanson nel film "Catene", la pellicola si bruciava o si rompeva e addio allo spettacolo.

La sto prendendo per le lunghe, direte voi, ma motivo c'è: con quale credibilità posso affermarlo? Eppure io l'ho visto zi' Peppe "Limone" inseguire il figlio Bruno girando intorno al Monumento, con la leonessa di pietra, simbolo della patria ferita, che se la ridacchiava malgrado il dolore causatole dalla freccia sul fianco - Disgraziato, fermati, fermati che t'aggia parlà-; - Parla ca te sente-; - No, tu nun siente, sule re mazzate te aprene re gurecchie -; - embèh, che so' scemo ca me ferm'? - E giravano, giravano intorno al Monumento come la giostra alla festa del Patrono.

Zi' Peppe, la pancia prominente, accaldato, il cappello a falde in bilico sulla testa, inseguiva il figlio che, agile come un ballerino, gli saltellava davanti con frizzi, lazzi e sberleffi, sotto lo sguardo della Vittoria, incredula e a rischio di cadere giù dal mappamondo per lo sbalordimento. Un soffio di vento freddo e la scena è svanita; le luci dei lampioni hanno ripreso il sopravvento e illuminando il presente hanno cancellato le immagini sbiadite del passato; ma non il ricordo.
A quei tempi scene simili erano ricorrenti; ma padre e figlio più che litigare credo che recitassero, si divertissero, si ritrovassero. Zi' Peppe interpretava il ruolo, scarsamente credibile nelle minacce, di genitore severo.

Bruno, la madre morta, il fratello Edmondo in Venezuela, ritrovava il padre che si era risposato, lo ritrovava impegnandolo nel gioco, come fanno i bambini quando si sentono soli. D'altra parte, con l'aria malandrina che si ritrovava per natura, si rapportava a tutti nello stesso modo e affascinava i ragazzini che gli invidiavano il senso di libertà assoluta che manifestava in tutti i suoi comportamenti. Lavorava, - lavorava? -, diciamo che frequentava il laboratorio dei D'Angola come libero prestatore d'opera, anzi, più che altro perché lì c'erano gli amici di pari età che non erano ancora emigrati. Erano lì per imparare il duro mestiere dello scalpellino, ma lui ci andava per stare in compagnia; magari di Michele "pignuolo", collega di laboratorio ed amico per la pelle. E con chi si litiga se non con l'amico più stretto? Litigarono una sera nel bar di Pasquale, in piazza, per la disputa del compenso di un lavoretto in marmo fatto per un loro cliente.

Sbattuti in malo modo fuori dal locale da Pasquale e dai giocatori di canasta infastiditi, i due piombarono rincorrendosi inferociti al Monumento. Eravamo lì noi monumentisti, nella sera calda di metà giugno, chi a giocare a tappi, chi ad ascoltare i racconti di Rocco “Mariocc”, tutti a tirare a fare notte. Arrivarono urlando come matti: Michele, davanti, correva, ma non troppo; Bruno inseguiva, tirandogli ogni tanto una pietra, ma senza convinzione. Imboccarono la salita per Pescopagano ormai protagonisti della serata dicendosene a distanza di cotte e di crude, e noi appresso a loro. Uno spasso memorabile!

Eravamo ormai a “la strettla de sant Linardo”, saremmo arrivati, ‘na folla, a Pescopagano, se non si fosse sentita una voce: - guagliù, re cerase di Salvatore “l’evangelista”- Michele e Bruno, istantaneamente riappacificati, furono i primi a salire sull’albero; le crete della cava al di là della strada luccicavano bluastre alla luce della luna e le ciliegie rosseggiavano come biglie di vetro nelle nostre mani. Non ne lasciammo manco una per crianza. Bruno sputava noccioli a due a due e sembrava volare tra i rami come un uccello, irridendo al padrone che il giorno dopo avrebbe trovato una “bella” sorpresa.

Il giorno dopo? Il giorno dopo, non più tardi dell'una e un quarto, mentre ero a tavola a casa di mia nonna Maddalena, il laboratorio silenzioso per la pausa pranzo, si sentì una cantilena:- hoi ze' Matalena, re ceuze so' di Dio, mangi tu e mangio io. - Mi fiondai in giardino. Bruno volava da un ramo all'altro facendo concorrenza ai passeri. Per vari giorni, puntuale, all'ora solita lo sentimmo ripetere la cantilena e lo vedemmo svolazzare sul gelso, anzi sulla ceuza, fino all'esaurimento dei gelsi, anzi delle ceuze. Non è una sottolineatura superflua quella che sto facendo.

La lingua italiana chiama gelso l'albero e gelsi i frutti non distinguendone la qualità, le caratteristiche. Il dialetto santandreano è più preciso, chiama gelso l'albero e gelsi i frutti, al maschile, solo quelli che, quando li mangi, i frutti naturalmente, ti cambiano il colore della pelle, ti combinano come un assassino, le mani come grondanti sangue rosso vivo. Per tutti gli altri, alberi e frutti di vario colore, usa il femminile: re ceuze.

L'albero di mia nonna era 'na ceuza e i frutti, re ceuze, di un colore bianco arancione non tingevano, no, ma deliziavano per il loro sapore. Bruno le apprezzava molto, perciò manco si sedeva a casa per il pranzo che già cantava sull'albero e mangiava con soddisfazione, volando da un ramo all'altro come Nembo Kid, il mio eroe dei fumetti preferito, solo che Bruno fumetto non era, eroe sì, e agli eroi tutto è concesso, soprattutto l’ammirazione. Certo non era un buon giocatore di calcio, non era per i giochi di squadra, lui era un solista, al massimo accettava il ruolo di portiere, ma per esibirsi, per compiere strabilianti parate acrobatiche su facili tiri in porta. Che ammirazione!!

Un giorno, in trasferta, andammo a giocare a Castelnuovo valicando a piedi l’Abetino. Ci aspettava, con la sua squadra, Basilio, il giocatore di calcio castelnuovese più forte di tutti i tempi. Il campo era più che altro una pietraia. Perdemmo per non so quanto a zero, eppure Bruno ci salvò dalla brutta figura.

Pur dopo aver incassato una caterva di reti, proprio all'ultimo minuto, su un tiro fiacco ed inoffensivo, si esibì in una parata talmente spettacolare, rotolando tra le pietre avvinghiato al pallone come se fosse il momento decisivo dell'incontro, che gli stessi avversari ammirati si misero ad applaudire. Non solo; per la partita di ritorno nella pietraia del Piano di Marcellino a Sant'Andrea misero le cose in chiaro, o giocava in porta Bruno o non avrebbero giocato. Non so se la richiesta fosse interessata, dovuta al fatto che tutto sommato come portiere valesse poco; propendo piuttosto a credere che fosse dettata dal desiderio di godere di altri momenti spettacolari, e questi solo Bruno poteva assicurarli. In inverno niente calcio, per ovvi motivi si cambiava sport.

Nel febbraio del 1956 ci fu la grande nevicata. Dopo giorni e giorni di neve a palate e di noia casalinga finalmente la tregua. Giunse l'esercito a portare viveri e a liberare le strade. Il corso principale riaffiorò dalla neve e riprese la sua funzione sociale, ma con qualche pericolo per la passeggiata serale: era tutto ghiacciato, soprattutto tra il bar di Riccardo, dove adesso c'è il forno di Andreone, e il Monumento.

Una ragione c'era. Proprio a fianco del bar, da un tombino mal messo, affiorava l'acqua della sorgente Sambuco che riversandosi sulla discesa, nelle ore più gelide di febbraio, aveva ricoperto di una lastra di ghiaccio tutto il tratto di strada. Che "sciulatine"!! Che discese sul ghiaccio, soprattutto per coloro che - tutti - tenevano le scarpe "cu re centreddr", cioè con i chiodi che zì Tumaso e tutti i calzolai del paese applicavano per salvaguardare le suole dall'usura. Ma a Bruno, dopo un primo entusiasmo, la cosa apparve ben presto troppo scontata.

Una sera, mentra tutti "sciulavano" allegramente, lo vidi pensieroso proprio davanti al bar. Mi guardò in un certo modo, quasi a pesarmi, dopo di che senza dirmi niente, davanti al mio maestro Teodosio e a mio padre usciti per caso dal bar, mi prese sulle spalle, mingherlino com'ero, e gridando - pistaaaaa!!!! - si precipitò giù per la discesa, tra lo sbalordimento di tutti, nella scivolata più incredibile mai fatta.

Naturalmente concedette, concedemmo, varie repliche. - Ma tu quale bob a due!!!- Incrociai ad un certo punto gli occhi di mio padre: sono ancora convinto che in quel momento più che preoccuparsi si stesse divertendo, anzi che una scivolatina se la sarebbe fatta pure lui. Poi andai in collegio a Salerno e ancora appresso mi trasferii con tutta la famiglia a Napoli. Che nostalgia del paese!! Il Monumento; Rocco "Mariocc"; Bruno "limone". Per le ferie, i primi anni, tornavo in paese con la littorina. Ma il treno in quante stazioni si fermava dopo aver lasciato Avellino? non arrivava mai allo scalo di Calitri.

Un Natale, nello scompartimento stracarico di gente e di bagagli, una bolgia, nella confusione e nel disagio generale, tra mugugni e recriminazioni, mi giunse all'orecchio una voce squillante, una voce inconfondibile rivolta al povero bigliettaio impedito nel proprio lavoro dal groviglio dei corpi: - Capooo! Ma insomma, è questo il modo di farci viaggiare? Nei nostri treni tedeschi non succede 'na cosa accussì. Ma quanto costa stu treno ca mò ce pens'io! - Era Bruno, emigrato in Germania, impiegato nelle ferrovie tedesche e perciò, a suo parere, competente del caso. Ma dovevate vederlo! gli altri viaggiatori, diversamente dal trattamento riservato al bigliettaio, gli avevano fatto spazio; e con ragione. Impeccabile nel gessato scuro, fazzoletto candido nel taschino della giacca, orologio e gemelli d’oro, capelli ben tagliati e impomatati, ma tu quale povero viaggiatore della tratta Avellino-Rocchetta Sant’Antonio?, se non il padrone, sembrava un alto funzionario della bundesbahan, delle ferrovie tedesche. Da allora l’ho sempre rincontrato così.

Ogni volta che per le ferie tornava in paese, in famiglia, si era sposato nel frattempo ed aveva avuto figli, ci tornava non da emigrante ma da signore, impeccabile ed elegante nel vestire. Fino all'apoteosi!!!, nell'immediato dopo terremoto del novembre 1980. Due personaggi accorsero senza indugi dopo le scosse ed il disastro. Il primo, il Presidente della Repubblica Sandro Pertini, lo vidi arrivare a Conza, sconvolto ed addolorato, in una Lancia Tema impolverata, senza scorta, accompagnato solo dall'ufficiale aiutante di campo e dall'autista. Mi si avvicinò, per avere informazioni, senza dare peso, malgrado i tempi non fossero tranquilli, al fatto che avevo tra le mani un piccone; non se ne preoccupò minimamente, mi diede un buffetto e proseguì tra le macerie ed i corpi semisepolti. L'altro? Un po' di pazienza, e saprete!

Il giorno successivo vari elicotteri roteavano sopra Conza, anzi sul mucchio di macerie che era diventato il paese , riconoscibile da lontano solo per il serbatoio dell'acqua che miracolosamente svettava ancora in cima alla collina. Portavano i primi aiuti. Ad un certo punto ne sopraggiunse un altro, grosso e scintillante, che proseguì verso Sant'Andrea e venne ad atterrare poco fuori paese. Accorremmo tutti. Si apri il portellone e scese appunto l'altro: Bruno Mauriello, sì, proprio lui, Bruno "limone", impeccabile come sempre, in gessato e scarpe di vernice; nel procedere verso di noi sembrava non toccare il terreno. In quel momento tragico, che nei giorni a seguire sarebbe risultato ancora più catastrofico di quanto si potesse immaginare, la sua fu un’apparizione consolatoria, benefica per lo spirito.

Si era precipitato a Napoli in aereo dalla Germania appena avuta notizia del terremoto. Individuato in aeroporto l’elicottero in partenza per le zone terremotate, naturalmente quello più confacente alla sua persona, aveva chiesto un passaggio.

Al rifiuto aveva cominciato ad urlare come un pazzo fino alla fatidica esclamazione:- Ma quanto costa st’elicottero?- lo presero a bordo e lo portarono in paese, a regalare un sorriso di futuro. L’ho incontrato altre volte negli anni successivi, ma l’immagine ultima di lui resta quella. Avete presente Obama che atterra nel giardino della Casa Bianca e dinoccolato scende dall’elicottero? Lo posso affermare senza om-bra di dubbio: è solo una imitazione. Bruno purtroppo non c’è più, è morto anni fa in Germania lontano dalla famiglia, dai figli che sicuramente avrà amato anche se a modo suo, figli che, lo so per certo, malgrado tutto, gli hanno voluto bene e lo hanno cercato fino all’ultimo. Le vicende umane sono complesse, della vita privata degli eroi si tace per rispetto, di essi si ricordano e si tramandano solo le gesta, perché non sene perda la memoria.

Fernando G. Basile


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(Rosario Cignarella)
Prima pubblicazione: 19 febbraio 1999

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